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I fronti sono quelli dell’onco-ematologia, dell’immunologia e di alcune patologie ereditarie. In questi ambiti, a 60 anni dai primi interventi, il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (HSC) – che agisce sui danni al midollo per ristabilire la produzione delle cellule del sangue - resta ancora oggi il trattamento d’elezione. Il problema, però, è sempre lo stesso: nonostante i milioni di volontari iscritti ai registri internazionali, la probabilità di trovare un donatore compatibile non supera il 40%. E in caso di trapianto allogenico, ossia da donatore, se la compatibilità donatore-ricevente non è elevata, il rischio è quello di graft versus host disease (GVHD), condizione in cui le cellule del donatore attaccano i tessuti del ricevente, non riconoscendoli come “propri”. 
Per provare a risolvere il problema le strade sono diverse: il trapianto autologo, in cui sono utilizzate cellule dello stesso paziente, quindi compatibili al 100%; e, da tempi molto recenti, il trapianto allogenico aploidentico, in cui i donatori sono familiari compatibili con il paziente solo al 50%, e in più le cellule staminali ematopoietiche del donatore devono essere sottoposte a una specifica procedura, in modo da limitare la probabilità di GVHD e di conseguente rigetto.
Uno studio recente, però, sembra aver trovato una strada ancora migliore: quella del trapianto aploidentico con cellule staminali da cordone ombelicale.  “Le cellule staminali da cordone ombelicale – spiega il Prof. Luca Pierelli del Dipartimento di Medicina Sperimentale Sapienza Roma - oltre ad essere immediatamente disponibili in caso di conservazione alla nascita, sono immature da un punto di vista immunologico, e possono quindi riprodursi in qualsiasi tipologia di cellula. Inoltre, è ridotto al minimo, se non assente, il rischio di sviluppare la GVHD e quindi il rigetto; infine, i linfociti infusi hanno una maggiore capacità di riconoscere e di eliminare le cellule tumorali rimaste nel paziente nonostante la terapia.  I dati dello studio parlano chiaro: in caso di trapianto aploidentico con cellule staminali cordonali, il tasso di sopravvivenza a 3 anni dall’infusione è dell’80.5%. C’è quindi un effetto a lungo termine, oltre alla minor incidenza di recidiva”.
A pubblicare lo studio è l’Istituto dei Trapianti di Sangue e Midollo di Soochow, in Cina, dove l’oncologo Depei Wu sta studiando l’efficacia dei trapianti aploidentici di HSC derivate dal sangue cordonale. Già nel 2022 un suo studio retrospettivo aveva raccolto i dati di 176 pazienti affetti da Leucemia Linfatica Acuta suddivisi in due gruppi, il primo trattato con cellule staminali ematopoietiche (HSC) derivate da midollo e il secondo con HSC derivate da sangue cordonale. E i vantaggi risultati dall’utilizzo delle HSC cordonali si erano rivelati consistenti:

  1. un maggiore effetto trapianto-contro-leucemia;
  2. un più veloce recupero dell’ematopoiesi, cioè la capacità del midollo osseo di produrre le cellule del sangue;
  3. un minor rischio di GVHD
  4. una maggiore sopravvivenza a tre anni dal trattamento
  5. una minor incidenza di recidiva

Recentemente lo stesso gruppo di ricercatori ha mostrato i risultati di un secondo studio, iniziato nel 2017, che ha coinvolto 268 pazienti affetti da Leucemia Mieloide Acuta, sottoposti a due tipi di trapianto: il primo gruppo è stato sottoposto a trapianto aploidentico di HSC derivate da midollo osseo; il secondo gruppo a trapianto aploidentico, ma di HSC derivate in parte da midollo osseo e in parte da sangue cordonale. Anche in questo caso la sopravvivenza a tre anni dal trapianto si è rivelata statisticamente maggiore nei pazienti del secondo gruppo. Il fatto sorprendente è che la quantità di HSC da sangue cordonale utilizzata in questo protocollo è relativamente “piccola”, per cui anche le unità di sangue cordonale più “scarse” possono essere impiegate per questa procedura.

Bibliografia

1. 12968/hmed.2019.80.1.33
2. https://doi.org/10.1016/j.jtct.2021.12.010
3. https://parentsguidecordblood.org/en/news/haplo-cord-survival-better-haplo-transplants-alone*

 

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