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I medici italiani sono i più anziani d’Europa. Secondo gli ultimi dati Istat, aggiornati al 2021, nel Bel Paese il 55,2% dei medici ha 55 anni o più, contro il 44,5% della Francia, il 44,1% della Germania e il 32,7% della Spagna. Capelli bianchi come garanzia di stabilità e fedeltà alla bandiera? Macché: le dimissioni volontarie dal Sistema Sanitario pubblico sono in continuo aumento, e più del 40% dei medici di medicina generale superstiti supera ormai la quota dei 1.500 pazienti. 

È un quadro eloquente, quello offerto dall’Istituto nazionale di statistica nella “Nota” della 7^ Commissione permanente in merito ai “Disegni di legge nn.915, 916, 942 e 980 – Accesso ai corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia”. Dove si legge, tra l’altro, che “il 2,7% del totale” degli studenti iscritti al primo anno di università nel 2022/23, pari a un totale di 15.300 ragazzi (dato in costante crescita dall’anni accademico 2018/19), è iscritto a un corso di laurea in Medicina e chirurgia, mentre 49.200 sono quelli iscritti a una delle tante Specializzazioni possibili.

A fronte delle forze fresche in arrivo, però, “l’invecchiamento del personale medico rappresenta un elemento di criticità del sistema sanitario – si legge nel documento Istat – A questo si aggiunge la carenza di professionisti che operano in regime di convenzione con il SSN, che riguarda in particolare i Medici di medicina generale (MMG). Tale quadro si innesta, inoltre, sulla previsione di un incremento futuro della domanda di cure dovuto al progressivo invecchiamento della popolazione”.

La lista dei problemi, infatti, non finisce qui. Altri elementi di criticità? Eccoli: sempre nel 2021 il nostro Paese è al 14° posto nella classifica europea del numero di medici presenti per 100.000 abitanti (410,4): meglio di Francia e Belgio, ma peggio di Austria, Germania e Spagna. E la situazione è particolarmente critica per quanto riguarda i Medici di medicina generale (68,1 ogni 100.000 abitanti contro i 72,8 della Germania, i 74,8 dell’Austria, i 94,4 della Spagna e i 96,6 della Francia), che dal 2012 al 2021, quando ne sono stati contati 40.250, si sono ridotti di ben 5.187 unità.

Va da sé che a tutto ciò corrisponda, automaticamente, un aumento di carico di pazienti pro-medico, tanto che sempre nel decennio 2012-21 il carico di assistenza è salito da 1.156 pazienti per ogni MMG a 1.260, e la quota di Medici di medicina generale che supera i 1.500 assistiti (limite massimo secondo la legge in vigore) è passato dal 27,3% del 2012 al 42,1% del 2021. E per una volta, su questo fronte, è il Nord a stare peggio: qui, infatti, la percentuale di MMG è calata verticalmente, passando da 71 ogni 100.000 abitanti nel 2012 a 62 nel 2021, mentre Centro Italia e Sud si attestano, rispettivamente, a 74 e 73 MMG ogni 100.000 abitanti, con una situazione nettamente migliore.

Torniamo all’età: nel 2022 l’età media calcolata degli specialisti in attività - tra servizio pubblico e sanità privata - è stata di 53,7 anni, con un 49,2% di specialisti che ha già spento 55 o più candeline. Le specialità più “anziane”? Cardiologi, ginecologi, internisti, psichiatri e chirurghi, dove gli over 54 superano (a volte abbondantemente) la metà. In più, il trend dell’età avanzata è in costante aumento, visto che - dal 2012 al 2022 - gli over 54, tra gli specialisti di medicina d’urgenza, sono passati dal 26% al 41,8%; tra gli oncologi dal 23,7% al 32,8%; tra i geriatri dal 32,8% al 45,2%.

E veniamo alla fuga dalla sanità pubblica, altro tasto dolente (e preoccupante) del panorama sanitario italiano: stando ai numeri, infatti, nel 2012 i medici specialisti dipendenti dal SSN erano il 62,6% del totale, mentre nel 2019 erano già diventati il 56,2%, e nel 2021 erano calati ancora, raggiungendo il 54,8%. Nello stesso intervallo di tempo, infatti, sono aumentate a vista d’occhio le cessazioni (la prima causa, nel 31,5% dei casi, è il pensionamento, seguita a ruota da non meglio precisate “altre cause” che comprendono le dimissioni volontarie, e quindi un possibile passaggio al privato, nel 30,5% dei casi).

Anche qui i dati parlano chiaro, visto che dalle 6.731 cessazioni del 2012 si è saliti alle 9.232 del 2019, e alle 10.596 del 2021. Sono i numeri di una crisi profonda, che per essere arginata - ammesso che lo si voglia – richiede scelte politiche coraggiose.

 

Alessandra Rozzi

Redazione Respiro.News

 

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