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Gli abitanti degli USA sono in piena crisi di isolamento sociale e solitudine. Già nel maggio 2023 il Surgeon General (il “Chirurgo Generale”, cioè il capo esecutivo dello United States Public Health Service Commissioned Corps, nonché portavoce delle questioni di salute pubblica) degli Stati Uniti Vivek Murphy, nel suo lavoro intitolato "La nostra epidemia di solitudine e isolamento", raccomandava azioni congiunte di assistenza sanitaria, programmi comunitari e servizi sociali per migliorare la connessione sociale. E ora uno studio pubblicato sulla rivista Annals of Family Medicine inquadra definitivamente isolamento sociale e solitudine (raggruppati nell’acronimo SIL, “Social Isolation, Loneliness”) come problemi medici, sottolineando il ruolo delle cure primarie per combattere questa epidemia.
Il SIL e la salute degli Americani
Se infatti la solitudine è la percezione che una persona ha dell'isolamento sociale o di relazioni inadeguate, mentre l'isolamento sociale è la mancanza oggettiva di contatti sociali o di relazioni con gli altri, quando i due fenomeni sono interconnessi nel SIL hanno un impatto decisamente negativo sulla salute. “Il SIL aumenta il rischio di patologie croniche tra cui malattie cardiovascolari, ipertensione, obesità, ictus e demenza, oltre ad aumentare la mortalità e la morte precoce – si legge infatti nello studio - La solitudine è associata alla prevalenza e allo scarso controllo della depressione e dell'ansia, oltre che a risultati scolastici e produttività lavorativa peggiori. È anche associata a un maggiore utilizzo dell'assistenza sanitaria nei pazienti delle cure primarie, comprese le visite al dipartimento di emergenza e i ricoveri ospedalieri. Complessivamente, si dice che l'isolamento sociale sia equivalente al fumo di 15 sigarette al giorno in termini di morte precoce”.
Non basta? Altri studi sono più precisi: sostenendo che la mancanza di socializzazione e la vita solitaria in un anziano possono far aumentare del 66% la probabilità di incorrere in infarto o ictus. E che in età senile l'isolamento sociale è maggiormente correlato a malattie cardiache, declino cognitivo e demenza, mentre nelle persone di ogni età la solitudine comporta maggiori rischi di malattie cardiache, ictus, diabete, dipendenza e suicidio.
Le proposte d’azione
A questo punto, cosa suggerisce lo studio? In buona sostanza di trattare solitudine e isolamento sociale alla stregua di una patologia cronica. Includendo queste condizioni nei parametri che l’assistenza di base dovrà considerare. “Sebbene storicamente non siano state considerate nell'ambito dell'assistenza clinica, siamo ora a un punto critico in cui il personale sanitario deve riconoscere l'isolamento sociale e la solitudine come problemi medici” scrivono nero su bianco gli autori. Che sottolineando come già “prima della pandemia COVID-19, il 20% dei pazienti adulti di assistenza primaria di tutte le età si dichiarava solo - una percentuale superiore alla prevalenza di molte malattie comunemente trattate, come la depressione e il diabete”, suggeriscono un quadro d’azione basato su tre pilastri fondamentali: formazione degli operatori sanitari; valutazione e supporto dei pazienti; espansione della sorveglianza e degli interventi di salute pubblica.
L’invito esplicito è questo: “I medici di base dovrebbero prendere in considerazione la valutazione del SIL soprattutto in occasione di importanti transizioni di vita (ad esempio, un recente trasferimento, la perdita di una persona cara, cambiamenti funzionali), durante crisi di salute significative o in caso di preoccupazione per l'autogestione delle condizioni croniche da parte del paziente. Esistono diversi strumenti per identificare la solitudine che possono essere incorporati nell'assistenza clinica, tra cui la Scala della solitudine UCLA a 3 voci13 e l'Indice di rete sociale Berkman-Syme.14 Inoltre, la solitudine dovrebbe essere integrata nelle conversazioni sulla prevenzione e sulla gestione delle malattie croniche. Per esempio, i piani di cura per una malattia cronica dovrebbero capire se la SIL potrebbe peggiorare l'autoefficacia del paziente, cioè la sua convinzione di potercela fare” si legge ancora nello studio. Del resto, ammettono gli estensori del lavoro, “riconoscendo che i medici di base non possono da soli curare e ridurre il SIL, il sistema sanitario deve fare leva e collaborare con gruppi di salute pubblica, agenzie di servizi sociali e organizzazioni comunitarie”. E la conclusione è che “L'epidemia di SIL non sarà risolta senza un impegno concertato da parte di enti interni ed esterni all'assistenza sanitaria. Affrontare le attuali carenze del sistema sanitario richiederà investimenti significativi da parte del settore sanitario, degli enti di sanità pubblica, dei responsabili politici e degli enti pagatori”.

Alessandra Rozzi
Redazione Respiro.News

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