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Un bambino italiano su 7 vive in una situazione di “insicurezza alimentare”, ovvero le famiglie non sempre possono permettersi un’alimentazione sana e bilanciata e spesso il criterio di acquisto è il prezzo del prodotto, col risultato di diete poco varie e a base di cibo di qualità inadeguata. Più a rischio i bambini del Sud, con famiglie numerose, genitori poco istruiti e giovani e con reddito basso.

Inoltre, si stima che per un bambino su 5, la famiglia di appartenenza viva nel timore di non avere soldi a sufficienza per acquistare il cibo fino alla fine del mese. Nella metà di questi casi, le famiglie non hanno realmente avuto risorse finanziarie sufficienti per acquistare cibo.

Sono i dati principali emersi da uno studio condotto dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica dell'Università Cattolica, sotto la guida dei docenti dell’Ateneo del Sacro Cuore Walter Ricciardi, Ordinario di Igiene generale e applicata e Maria Luisa Di Pietro, Associato di Medicina Legale, e il coordinamento scientifico di Chiara de Waure, Associato di Igiene all’Università degli Studi di Perugia e di Drieda Zace, Dottoranda in Scienze biomediche di base e Sanità pubblica all’Università Cattolica, anche grazie alla collaborazione di alcuni Pediatri di libera scelta dell’Associazione Culturale Pediatri. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Food Security.

“C’è anche il rischio – continua Di Pietro - che con la chiusura delle scuole durante il lockdown e quindi con il mancato accesso alle mense scolastiche, che comunque sono garanzia di un pasto completo ed equilibrato per i bambini, l'insicurezza alimentare per i piccoli, specie se provenienti da contesti disagiati, può essere aumentata”.
 
Lo studio, che ha stimato la prevalenza dei bambini italiani che vivono in una situazione di insicurezza alimentare, i fattori socio-economici ad essa associati e l’impatto sullo stato di salute dei piccoli, si è concluso nel 2019 ed ha preso in esame 6 macro aree italiane: Lombardia (Milano), Lazio (Roma), Marche (Jesi), Campania (Caserta), Puglia (Brindisi, Lecce), Sicilia (Palermo).
 
Sono stati inclusi solo bambini di età compresa tra 1 e 11 anni, nati in Italia, con genitori di nazionalità italiana, seguiti regolarmente da un pediatra di libera scelta. Lo studio si è basato su due questionari: uno indirizzato al genitore per raccogliere informazioni sulla situazione socio-demografica ed economica, la salute del bambino e l'indice di sicurezza alimentare delle famiglie; l’altro questionario era rivolto al pediatra di libera scelta con la richiesta di informazioni quali peso, altezza, circonferenza cranica, sulla salute fisica, psicomotoria, relazionale e dentale del bambino e sulla presenza di difficoltà scolastiche e di svolgimento di attività fisica.

Su un campione di 573 bambini, si è evidenziato che 1 bambino su 7 vive in una situazione di insicurezza alimentare. Le macro aree risultate più critiche sono state in ordine decrescente la Campania (Caserta) e, a breve distanza, il Lazio (Roma) e la Sicilia (Palermo).
Vivere nel Sud Italia, in famiglie numerose, con un reddito basso, genitori di giovane età e con basso livello di istruzione sono risultati i fattori predittori più frequenti di insicurezza alimentare.

“Dallo studio è emerso – sottolinea Di Pietro – che un quarto dei bambini coinvolti vive in famiglie che non sempre possono permettersi di mangiare pasti bilanciati da un punto di vista nutrizionale. In un terzo dei casi, le famiglie cercano di sopperire alla mancanza di soldi acquistando cibo a basso costo e non variato. Questo comporta che i bambini non hanno disponibilità di tutti i nutrienti di cui hanno bisogno per la crescita”.

E le conseguenze a scapito dei piccoli sono già visibili: tra i bambini che non mangiano bene sono più frequenti i problemi della vista, relazionali, difficoltà psicomotorie, problemi dentali e fisici e incremento delle difficoltà scolastiche.

“Lo studio mette probabilmente in luce solo la punta di un iceberg – avverte Di Pietro -. I dati qui ottenuti potrebbero essere una sottostima della situazione reale, anche perché i genitori tendono spesso a nascondere la verità della condizione della famiglia per vergogna. Lo studio non ha, inoltre, coinvolto zone delle città già notoriamente povere in cui senza dubbio l’insicurezza alimentare è più diffusa”.

Si tratta di un problema che richiede grande attenzione, a partire dall’utilizzo di screening a tappeto sull'insicurezza alimentare con monitoraggi a scadenza annuale e alla programmazione di interventi finalizzati a colmare - se presenti - le carenze nutrizionali dei bambini e di adeguate politiche economiche a sostegno delle famiglie, conclude l’esperta.
 
“In particolare – conclude Di Pietro - , per contrastare questa situazione è necessario intervenire con strategie sociali adeguate finalizzate o alla riduzione della condizione di povertà delle famiglie o alla mitigazione degli effetti negativi del ridotto o basso reddito familiare sui bambini attraverso specifici programmi e interventi di integrazione delle carenze con l’ausilio dei pediatri di libera scelta e delle scuole. Questi interventi sono particolarmente urgenti considerando anche la difficile situazione economica che sta attraversando il Paese a causa della pandemia di Covid-19”.

Fonte: Quotidiano Sanità

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