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Il problema è più che serio. E secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità causa ogni anno la morte di 700mila persone, 35mila delle quali in Europa – stime del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, ECDC - e oltre 10mila in Italia. Sotto accusa c’è l’antibiotico-resistenza (ABR), un fenomeno naturale di adattamento di alcuni microrganismi, che imparano a sopravvivere a un agente antibatterico generalmente in grado di uccidere microrganismi della stessa specie. Com’è possibile? Essenzialmente per due motivi: per la natura del microrganismo stesso (e in questo caso si parla di “resistenza intrinseca”), oppure per una resistenza sviluppata in seguito (e allora il fenomeno si definisce “resistenza acquisita”).
Che l’antibiotico-resistenza abbia poi conseguenze pesanti sulla salute, sulla spesa pubblica e sulla sanità di buona parte del mondo è cosa nota. Tanto che al convegno "Combattere l'antibiotico resistenza in Italia - Aspetti clinici, farmaco-economici e di governance", organizzato a Roma nei giorni scorsi con la direzione scientifica di SDA Bocconi School of Management, l'organizzazione di Motore Sanità e il contributo incondizionato di Viatris, l’allarme si è moltiplicato.  E tra i tanti S.O.S. lanciati, spicca quello di Rosanna Tarricone, Associate Dean of GHNP - SDA Bocconi: "I dati sono allarmanti – ha detto - il costo dell'antibiotico-resistenza è maggiore del 2% rispetto al PIL globale. Dal punto di vista scientifico, si tratta di una nuova pandemia". E stando ai dati emersi dal convegno, le previsioni indicano un aumento fino a 10 milioni di morti all'anno entro il 2050, e un impatto economico che potrebbe superare il trilione di dollari l'anno dopo il 2030.

Cause e conseguenze del problema
Le cause del fenomeno, del resto, sono note: uso eccessivo e non corretto di antibiotici in campo umano, veterinario, e in agricoltura, con conseguente insorgenza di ceppi batterici resistenti. In più, se la situazione era già seria prima del 2019, la pandemia da COVID-19 ha peggiorato, e non di poco, le cose.
Le conseguenze? Gravi, se non gravissime: le infezioni da microrganismi resistenti, infatti, non rispondono al trattamento standard, e causano un prolungamento della malattia, possibili complicazioni e un maggiore rischio di morte. I pazienti, inoltre, rimangono contagiosi più a lungo, aumentando il rischio di focolai epidemici. E un trattamento più lungo, spesso in degenza ospedaliera, aumenta i costi dell’assistenza sanitaria e la spesa delle famiglie e della società.

La sorveglianza in Italia
Il problema in Italia è sotto osservazione: nel nostro Paese esistono infatti il Sistema di Sorveglianza nazionale dell’antibiotico-resistenza, attivo dal 2001, e il Sistema di Sorveglianza delle CPE (batteriemie da enterobatteri produttori di carbapenemasi, una classe di antibiotici ad ampio spettro), attivo dal 2013, entrambi sotto il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Scopo dei due Sistemi è monitorare le infezioni causate dai patogeni sotto sorveglianza, mettendo a fuoco possibili strategie di contenimento a livello locale, regionale e nazionale. E se per alcune classi di batteri gli ultimi dati (relativi al 2022) restano alti, per la Klebsiella pneumoniae, ad esempio, calano, mentre per l’Enterococcum faecium aumentano in modo preoccupante (dall’11,1% del 2015 al 30,7% del 2022). Allo stesso modo il secondo Sistema di sorveglianza conferma la diffusione delle batteriemie da CRE soprattutto in pazienti ospedalizzati, con 3.056 casi nel 2022 rispetto ai 2.396 dell’anno precedente. È importante sapere, infatti, che il 75% delle infezioni da batteri resistenti è rappresentato da ICA (Infezioni correlate all’assistenza), interessando quindi in pazienti ospedalizzati.

Antibiotici, la mappa del consumo
Secondo i dati dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) nel 2021 il consumo complessivo di antibiotici in Italia è stato pari a 17,1 DDD (Defined Daily Dose) per 1000 abitanti die, in riduzione del 3,3% rispetto al 2020, ma sempre maggiore della media europea (16.4 DDD/1000 abitanti die) per lo stesso anno. Quasi il 90% del consumo di antibiotici a carico del SSN (11,5 DDD/1000 ab die) viene erogato in regime di assistenza convenzionata, con 3 cittadini su 10 che hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotico nel corso del 2021. Rispetto al 2020, calano i consumi di antibiotici sistemici sia in comunità che in ospedale, e si registra una leggera riduzione del consumo di fluorochinoloni nel 2021 rispetto all’anno precedente in comunità, mentre in ospedale i fluorochinoloni sono stati utilizzati più che nel 2020.
E se questi andamenti mostrano il raggiungimento della maggior parte degli indicatori di consumo di antibiotici indicati dal PNCAR 2017-2020/21 (buona notizia), i dati mostrano che l’appropriatezza prescrittiva va ancora migliorata, così come l’omogeneizzazione prescrittiva nel Paese, dato che il consumo maggiore di antibiotici avviene tuttora al Sud (15,3 DDD), rispetto al Nord (8,7 DDD) e al Centro Italia (12,0 DDD).

Quando l’uso è scorretto
Ma è l’uso non appropriato di questi farmaci, a costituire una buona fetta del problema, anche perché supera – dati AIFA - il 30% in tutte le condizioni cliniche studiate: influenza, raffreddore comune, laringotracheite, faringite e tonsillite, cistite non complicata e bronchite acuta.
Sempre secondo AIFA, il maggior consumo di antibiotici è rilevato nei primi 6 anni di vita (un bambino su 2 ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici, e 4 volte su 10 non vengono scelti antibiotici di prima linea), e dopo i 75 anni di età, con una differenziazione anche di genere, dato che le prescrizioni sono più numerose per le donne nelle fasce di età intermedie, e per gli uomini in quelle estreme. L’età media degli utilizzatori è di 53 anni, e ciascuno è trattato in media per 2 settimane, con un costo per utilizzatore di 25,45 euro. Inoltre, il 40,7% dei pazienti riceve una sola prescrizione nell’anno. Le associazioni di penicilline, compresi gli inibitori delle beta-lattamasi e i macrolidi e lincosamidi, hanno la maggior esposizione nella popolazione. Seguono le cefalosporine di III gen. e i fluorochinolonici.

Cosa si fa in Italia (e in Europa)
Le iniziative con cui il Ministero della salute cerca di arginare il fenomeno sono coordinate dal Piano nazionale PNCAR, che organizza azioni di monitoraggio, di sorveglianza e di contrasto del fenomeno dell’antibiotico-resistenza sia sul fronte umano sia su quello veterinario, nel rispetto dei piani delle agenzie internazionali. Il controllo e la prevenzione dell’ABR e delle ICA sono anche stati inseriti nel macro obiettivo del Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025.
Inoltre il Ministero della Salute, attraverso il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM), finanzia numerosi progetti di collaborazione e indagini conoscitive sui sistemi di sorveglianza delle infezioni associate all’assistenza, a livello nazionale, per standardizzare le metodiche di sorveglianza, ed è parte di numerose iniziative internazionali in materia, partecipando tra l’altro al Global AMR R&D hub e alla Global health security agenda per l’action package AMR (GHSA-AMR). Molte anche le iniziative di informazione e formazione che il Ministero mette in campo, sia per professionisti sanitari sia per la popolazione generale.
A livello europeo, invece, le iniziative negli anni sono state innumerevoli. L’ultima di rilievo in ordine di tempo risale al 13 giugno 2023, quando il Consiglio UE ha adottato una raccomandazione per combattere la resistenza antimicrobica dove al primo posto risultano gli “obiettivi concreti per ridurre l'uso degli antimicrobici entro il 2030, compresa una riduzione del 20% del consumo umano totale di antibiotici e una riduzione del 50% delle vendite complessive nell'UE di antimicrobici utilizzati per gli animali da allevamento e l'acquacoltura”.

 

Alessandra Rozzi
Redazione Respiro.News

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